venerdì 31 ottobre 2008

Strade di Algeria

I controlli di polizia si susseguono uno dopo l'altro lungo autostrade nuovissime e colme di macchine. I segni di un nuovo inizio economico si associano a quelli classici del controllo di pubblica sicurezza. Il nome stesso del paese, Repubblica Democratica Popolare di Algeria ricorda, nemmeno lontanamente, da dove arriva questo paese che ha fatto lo stesso percorso della Cina, ma con quel pizzico di dissidenza in più che nell'Impero di Mezzo non esiste.
L'Algeria è figlia della decolonizzazione mai terminata e delle scelte effettuate negli anni successivi alla liberazione. Enorme scatolone di sabbia abitato per una piccola fetta da 35 milioni di persone, il paese appare come un enorme cantiere nel quale la classe politica dominante cerca di imprimere un nuovo inizio alla società. La guerra, iniziata nella prima metà degli anni '90 sembra ancora in atto, e, qualcuno, ce lo ha anche confermato. I ribelli che sulle montagne sgozzavano i civili non ci sono più, l'esercito li ha sterminati a sua volta. Ma il rischio non è cessato: è per questo che, ovunque, si vive l'oppressivo senso della polizia. Polizia sulle strade, all'ingresso degli Hotel, nelle aziende (magari sottoforma di vigilantes privati). Una strada in algeria può essere anche libera, ma risulterà sempre intasata: la polizia crea tornanti artificiali, deviazioni, piccole curve, per far rallentare i veicoli e per potervi guardare dentro. Oppure determina strozzature con un polizziotto all'ingresso e uno all'uscita e, lungo il percorso, militari nascosti con il calashnikov pronto a sparare. E tutto questo per scongiurare il rischio di attentati.
Nel primo albergo in cui eravamo un cordone di polizia chiudeva l'intera zona residenziale. Torrette all'ingresso della via delimitavano il mondo della libertà da quello del controllo e, anche lì, uomini nascosti nel fogliame delle piante con il fucile in mano pronti ad intervenire. In quello attuale all'ingresso la macchina viene aperta e controllata col naso elettronico che rileva la presenza di esplosivi. Nuguli di agenti in divisa occupano qualunque angolo di questo paese che cresce, perchè, e mi pare evidente, non vale più l'equazione classica democrazia = sviluppo economico.
Una volta ci raccontavano che le condizioni di sviluppo migliori si avevano in presenza di libertà civili ben radicate. Oggi non è così. Oggi conviene venire ad investire qui. In un paese ancora controllato da un regime che ha perso un elezione e che è rimasto in sella con la scusa del terrorismo islamico. In un paese che ha dato incentivi per acquistare le auto, che costruisce autostrade e si apre ai capitali stranieri, che importa standard occidentali e toglie il velo alle donne, acquistare un giornale equivale a leggere bollettini governativi senza profondità, al punto che la maggior parte delle persone preferisce montare la parabola sulle baracche e non ascoltare la televisione di stato.

La vecchia repubblica popolare ha deciso, qualche anno fa (nessuno mi sa dire quanti) che il socialismo islamico non era la via, che bisognava iniziare ad aprire ai capitali stranieri. Nessuno però, si è mai opposto davvero all'attuale presidente. E quando l'unica resistenta è venuta dai gruppi islamici il governo ha preso la scusa per mettere il paese sotto una cappa di polizia, senza che l'occidente, ipocrita come sempre, si sentisse in dovere di intervenire.
Qui c'è da investire, da costruire, da realizzare, peccato che ogni tanto si venga a sapere che ci sono zone dove non si può andare, posti sconsigliati, come la Cabilia, dove, la gente dice, c'è la criminalità comune, e non la guerra civile. Peccato che poi il bollettino di qualche sito indipendente rilevi ancora attentati in vilaggi isolati dell'Atlante, se non ad Algeri stessa, com'è accaduto nemmeno un anno fa.

Sull'Algeria, però, pesa anche la cappa degli investitori stranieri. Per non avere problemi con gli investimenti, i ticoon del cemento, delle perforazioni petrolifere e dei trasporti marittimi hanno bisogno di silenzio sulle reali condizioni del paese. E così, pur sfogliando centinaia di siti internet, non si riesce a capire cosa succeda davvero qui, se ci sia o meno la guerra, se ci si debba preoccupare a venire.

Nessun commento: