Interconnessione delle Crisi
L'esplosione della crisi alimentare, economica e finanziaria nel 2007-2008 mostra a che punto le economie del pianeta sono interconnesse. Per risolvere queste crisi bisogna risolvere il male alla radice.
La crisi Alimentare
Nel 2007-08, più della metà della popolazione del pianeta a visto degradarsi la propria condizione di vita perchè ha dovuto affrontare un fortissimo rialzo dei prezzi alimentari. Questo ha provocato proteste vibranti almeno in una quindicina di paesi nella prima metà del 2008. Il numero di persone toccate dalla fame è aumentato di qualche decina di milioni e qualche centinaio si è vista restringere l'accesso agli alimenti (e di conseguenza ad altri servizi vitali). E tutto in conseguenza delle decisioni di un pugno di imprese del settore alimentare (produttrici di bio combustibili) e del settore finanziario che hanno beneficiato dell'appoggio di Washington e della Commissione Europera. Pertanto, la parte di esportazioni dedicata alla produzione di alimenti resta debole. Una piccola parte del riso, del grano e del mais prodotto nel mondo è esportata, la maggior parte della produzione consumata sul posto. Come noto sono i prezzi di esportazione che determinano il prezzo sui mercati locali. Questi prezzi sono fissati negli Stati Uniti principalmente in tre Borse: Chicago, Minneapolis e Kansas City. Di conseguenza il prezzo del riso, del grano o del Mais a Timbouctou, a Città del Messico, a Nairobi o Islamabad è direttamente influenzato dall'evoluzione delle quotazioni di queste granaglie sui mercati borsistici Americani. Nel 2008, nell'urgenza di essere spazzati via dalle proteste popolari, ai quattro angoli del pianeta, le autorità dei paesi in via di sviluppo hanno preso delle misure per garantire ai propri cittadini l'accesso agli alimenti di base. Se siamo arrivati a questo punto è perchè per decenni i goversi hanno rinunciato progressivamente a sostenere i prduttori locali di grano, che sono in normalmente piccoli produttori, e hanno seguito le ricette neoliberali impartite da istituzioni come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario nel quadro dei piani di aggiustamento strutturale o di riduzione della povertà. In nome della lotta contro la povertà, queste istituzioni hanno forzato i governi a mettere in atto politiche che hanno prodotto, se non rinforzato, la povertà stessa. In più, nel corso degli ultimi anni, molti governi hanno firmato trattati bilaterali (normalmente di libero commercio) che hanno aggravato ancora la situazione. I negoziati commerciali nel quadro del Ciclo di Doha dell'OMC hanno ugualmente determinato delle conseguenze funeste.
Che Succede?
Atto Primo. I paesi in via di sviluppo hanno rinunciato alle protezioni doganali che consentivano ai coltivatori locali di difendersi dalla concorrenza dei produttori agricoli stranieri e principalmente le grandi industrie agro alimentari dell'America e dell'Europa. Questi ultimi hanno invaso i mercati locali con dei prodotti agricoli venduti al di sotto del costo dei prdizione degli agricoltori o defgli allevatori locali, e questo ha provocato il loro fallimento (molti di loro sono emigrati in città o nel nord del pianeta). Secondo l'OMC i sussidi versati dai goveri del nord alle grandi imprese agricole sul mercato interno non costituiscono un infrazione alle regole anti-dumping. COme ha scritto Jacques Berthelot: "Mentre per l'uomo della strada esiste il Dumping quando si esporta ad un prezzo inferiore del prezzo medio di produzione, per l'OMC non c'è Dumping se si esportano merci al prezzo del mercato interno, anche se inferiore a quello medio di produzione". In preve, i paesi Europei e gli Stati Uniti o altri paesi esportatori hanno invaso i mercati altrui con prodotti che beneficiano di pesanti sovvenzioni interne.Il mais esportato in Messico dagli Stati Uniti è un caso emblematico. A causa del Trattato di Libero commercio (TLC) siglato con gli Stati UNiti e il Canada, il Messico ha abbandonato le proprie protezioni doganali verso Nord. Le esportazioni di mais dagli USA si sono moltiplicate per nove dal 1993 al 2006. Centinaia di milioni di famiglie hanno dovuto rinunciare a produrre mais perchè costava più caro di quello esportato dagli USA (prodotto in maniera industriale e sovvenzionato). Questo non ha costituito soltando un dramma economico, si tratta anche di una perdita di identità perchè il mais rappresenta il simbolo della cultura messicana, soprattutto tra le popolazioni Maya. Buona parte degli agricoltori hanno abbandonato i campi e sono partiti in cerca di lavoro nelle città industrializzate di Messico e Stati Uniti.
Atto Secondo. Il Messico, che dipende dagli Stato Uniti per l'alimentazione dei propri abitanti si è trovato a confrontarsi con un aumento drammatico dei prezzi dei cereali provocato, da una parte, dalle speculazioni delle borse di Chicago, Minneapolis e Kansas City, e, dall'altra, dalla produzione col mais di etanolo presso il vicino americano.
I produttori messicani non riescono più a soddisfare la domanda interna e i consumatori messicani si confrontano con una esplosione dei prezzi del cibo di base, la tortilla, una crepe di mais sostituisce il pane o il riso delle culture di altre latitudini. Nel 2007 enormi proteste popolari sono scoppiate in Messico. In condizioni simili le stesse cause hanno portato ai medesimi effetti. L'interconnessione dei mercati alimentari a livello mondiale è stata spinta a dimensioni mai conoscite prima. La crisi alimentare mette a nudo il motore ultimo del capitalismo: la ricerca del massimo profitto a breve termine. Per i capitalisti gli alimenti non sono altro che merce da vendere col massimo profitto. Gli alimenti, elementi essenziali della vita degli esseri umani, sono trasformati in strumenti di profitto. Bisogna metter fine a questa logica mortifera. Bisogna interrompere il controllo capitalistico sui grandi mezzi di produzione e commercializzazione e dare priorità ad una politica di sovranità alimentare.
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