domenica 2 novembre 2008

Il canto del Muezin

Al canto del Muetzin questo mondo diventa affascinante. Filtrato da lunghezze e lunghezze di foschia e smog il suono degli altoparlanti arriva smorzato e attutito e assomiglia più ad una musica di coro che non alla voce di esseri umani in cima alle torri che difendono la fede nel profeta. Immerso in questa fascinazione potresti immaginare di essere in un altro mondo e in un altra condizione umana. Che poi, alla fine, non è nemmeno tanto lontano dal vero.

Potresti pensare che sulla baia di Algeri sia arrivata l'armata dei turchi ottomani a conquistare la città, e che le sentinelle, dritte dietro i merli della rocca, avvisino la città dell'imminente pericolo.
Potresti immaginare gli elefanti di Annibale garrire sul bordo del mare in viaggio verso la Spagna cartaginese.
Potresti immaginare le trombe spiegate dei paggi di corte che annunciano il matrimonio della figlia del re, sempre lo stesso, che va a prender marito nel piccolo seno che racchiude il porto della città.

E se proprio la fantasia non ci assistesse, potremmo accostarci alla realtà di una città industriale che nei bagni degli uffici hanno piccole doccie per fare le abluzioni rituali, vedere i tappeti posati sulle cassettiere dietro le scrivanie, contare le teste che si alzano e si chinano verso oriente, richiamate al senso del dovere della preghiera quotidiana.
Tappeti colorati, piccoli e comodi da portare, che possono essere ripiegati e tenuti tramite corte manighie, rettangoli alla cui estremità è stata montata una piccola bussola per indicare la casa del profeta. Oggetti ai quali si accostano anche le donne della città vecchia, che possono comperarli come vezzo al riparo dai rimproveri del marito. Paccottiglia Made in China, come in tutti i mercati che pretendono di vendere tutto e per tutte le tasche. Eppure questo incanto del canto del Muetzin non passa, non si dissolve di fronte al presente di una città che vive nella speranza di una crescita che sta arrivando, ma che subisce ancora le sue sacche di povertà. Il canto del Muetzin è la dimostrazione vivente del valore sacrale della parola, per noi, popoli del libro, che nella parola dimoriamo nella ricerca della salvezza. E' un fascino che sentirebbe anche l'occidentale più disincantato. Quello della grazia della pausa al servizio di qualcosa di "altro da sè", quello del momento sottratto all'utile per accostarsi al possibile senza percepirne l'inutilità.