Con questa mentalità arrivò, e ci si aspettava che arrivasse, il 1989.
E fu una rivelazione. Altro che fine della storia. Il mondo friggeva. Arrivavano notizie, da ogni dove, ed erano un'epifania planetaria.
Mi ricordo ancora quella sera di novembre che rientrai in casa e vidi le immagini che provenivano da Berlino. Mi ricordo che sentii un brivido. Il brivido che si prova di fronte ad una nuova nascita, ad un amico che non si vede da tempo.
Prima di allora, pochi mesi prima, c'era stata Tienanmen, ma non era finita bene. Erano anni che si sentiva parlare di quello che accadeva ad est: ci eravamo appassionati a Solidarnosh, sapevamo che un gruppo di operari (sic!) combattevano il comunismo. Non sapevamo, e forse ci sarebbe stato indifferente, che Giovanni Paolo II avesse lavorato per questo risultato: eravamo troppo piccoli per saperlo. Sapevamo solo che qualcosa stava succedendo, che un mondo, inchiodato alla sua idiozia per anni ed anni si stava per svegliare. E sapevamo anche che, di fronte al mondo, ci sarebbero stati i nostri cugini più grandi a sventolare la loro bandiera.
E così fu! Quei giorni, come tutti gli anni, a casa mia erano di lavoro febbrile. Ero stato tutta la giornata a lavorare e a perder tempo in mezzo agli operai. La sera, quando rientrammo a casa, la luce in cucina era già accesa e si preparava una di quelle cene d'autunno dove si mangia per fame e per stanchezza, ancora coperti di sudore. Ed è in quest'atmosfera che localizzo la caduta del Muro. La tv trasmetteva le immagini dei ragazzi di Berlino di fronte al muro e alla porta di Brandeburgo. Ragazzi e ragazze che si baciavano, uomini e donne che si rivedevano dopo anni di separazione. E un mondo che, finalmente, crollava e se ne andava a 'fanculo.
E io, che ero piccolo, ero orgoglioso, già allora, perchè sapevo che, involontariamente, facevo parte di quella generazione che aveva cambiato il mondo. Voi mi direte: "ma se tu eri a casa a mangiare". E io invece sentivo che l'empatia che mi legava ai berlinesi in quella sera di autunno era l'indizio che io, come loro, facevo parte della prima generazione di uomini e donne del novecento ai quali nessuno avrebbe potuto dire comunisti o fascisti. Eravamo i primi veramente liberi perchè sotto i nostri occhi cambiava la storia... e, per una volta, non erano gli eserciti a farla, ma quei ragazzi del nord europa che, per troppo tempo, avevano ingoiato il lordume di regime.
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