mercoledì 15 ottobre 2008

In Partibus/6

Ricostruire Mani Pulite nella mia memoria è un esercizio che regalo a me stesso per non perdermi di fronte al chiacchiericcio degli ultimi anni.

Che cosa sia stato Mani Pulite, al di là della sua natura giudiziaria, lo sa perfettamente qualunque italiano. Lo sa nel profondo di quello che avvertì e sentì in quegli anni. Lo sa, soprattutto, in relazione alla valutazione politica della prima repubblica, valutazione in sè facile, anche troppo.
Quando da Milano cominciarono a giungere notizie del terremoto che stava coinvolgendo i massimi vertici della democrazia italiana gli avvisi di garanzia si avvitarno in un circuito che coinvolse, correttamente, i media e l'opinione pubblica. Come nelle più classiche delle teorie sulla democrazia, quasi a leggere Habermas, al venir meno della classe politica si contrappose, immediatamente, la presa di coscienza dell'opinione pubblica correttamente informata dalla stampa. Questo non vuol dire che non ci furono eccessi.
Il clima che si respirava allora non è quello che si vuol far passare oggi: non c'era terrore, non si guardava ai giudici di Milano come a un branco di bracconieri sulla preda, come a toghe rosse. A leggere i giornali di allora, che ho ancora, si legge euforia, pura, semplice e limpida euforia.
Le persone erano felici di vedere in manette una classe dirigente disastrosa. Erano felici quando inscenavano caroselli di fronte ai palazzi di giustizia di mezza italia. Erano felici quando, liberandosi, denunciavano e parlavano contro coloro che avevano infangato la politica italiana.

E pazienza se non tutti fossero sotto processo. Il problema non si poneva. I giornali raccontavano di un sistema malato nelle fondamenta che viveva di illeciti continui, che di illeciti si era nutrita abbondantemente. I giornali facevano da cassa di risonanza, perchè quello era il tema, e, soprattutto, di quello volevano leggere le persone.
Ho conservato i giornali di allora e non ho scorto lo scoramento per un mondo che moriva. Vi ho letto il senso di liberazione dopo quarant'anni di democrazia bloccata, senza ricambio e senza futuro.

Oggi, quanti hanno ribaltato quel momento come un calzino, parlano di giustizialismo. Allora il problema non si poneva così. Oggi si parla di uomini innocenti. Allora le persone non la vedevano così, perchè la partita non era giudiziaria, ma politica. Il fenomeno è illustrato, come meglio non si potrebbe, dal famoso articolo delle lucciole di Pasolini. Non si trattava di ragionare se ci fossero le prove delle malefatte dei politici che venivano processati. Si trattava di delineare le responsabilità che aveva quella classe politica nel declino evidente del paese. La spallata giudiziaria veniva dalle dichiarazioni di decine di imprenditori che non ce la facevano più. E se non ce la facevano loro non ce la facevano nemmeno gli altri. La spallata era accompagnata dal sorgere e risorgere di formazioni politiche che esprimevano decisamente il dissenso: a rileggere i giornali di allora Alleanza Nazionale e la Lega prima di tutto. Insomma, la società civile si imbarcava in una battaglia contro quanti avevano saccheggiato l'Italia.

Chi parla di magistratura militante dovrebbe ricordarsi di cosa l'opinione pubblica accusava quella classe politica:
  1. un debito pubblico da record, accompagnato da una moneta che in quegli anni fu messa sotto tiro da Soros e che si salvò per miracolo;
  2. una qualità scadente di tutti i servizi pubblici, essenziali o meno che fossero;
  3. uno spreco continuo ed evidente di denaro pubblico;
  4. la diffusione di una mentalità lassista, che si traduceva, nei fatti, in abusivismo edilizio ed evasione fiscale;
  5. una collusione, nemmeno tanto velata, con la criminalità organizzata;
  6. il sospetto, che poi tanto sospetto non era, di una partecipazione, diretta e indiretta, alla strategia del terrore degli anni settanta.

In tutto questo, che si trattasse di una classe corrotta lo sapevano tutti, la magistratura lo certificò in maniera efficace. E con lei lo certificò lo stesso ceto politico: nessuno dimentica le confessioni rese da Forlani. Nessuno dimentica il discorso con cui Craxi cercava di salvarsi dall'autorizzazione a procedere; disse, stupidamente, che mal comune è mezzo gaudio.

Insomma, lo sapeva l'opinione pubblica, lo certificava la magistratura, lo confessavano i diretti interessati. Chi oggi afferma il contrario è, normalmente, chi ha maggiormente beneficiato di quanto accadde, e mente.

E poi era caduta la scusa che teneva questi personaggi al potere. Non c'erano più comunisti da combattere (allora si sapeva perfettamente, anche se poi ce ne siamo dimenticati). Caduta la scusa si sono trovati scoperti. A veder gente che li piange ci viene da ridere.

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