venerdì 2 gennaio 2009

2009

La notte del primo abbiamo fatto le cose normali che tocca fare in provincia. Cenone in ristorante, animazione disgraziatissima e poi via a vedere se nella più vicina discoteca c'era qualcosa da fare. Statale lunga e dritta adagiata sul fondo di una valle fluviale tra filari di colline. Statale di piccoli stabilimenti industriali, magazzini, meccanici e carrozzieri. Tra queste strutture, vicino ad un deposito di cioccolata e non lontano dalla concessionaria di auto del papà di un caro amico, c'è un grosso "capannone" di quelli che normalmente sono destinati ad ospitare un carroponte per lavorazioni meccaniche. Questo "capannone" è la discoteca di cui sopra.
Non che ci aspettassimo gran ché. Sinceramente. La previsione era stata bi-articolata come segue dal mio amico Livio :
1) il locale sarà pieno di "cafoni" in alternativa pieno di ragazzini.
2) in ogni caso, se ci chiedono più di 10 Euro non entriamo.
Siamo entrati (a 10 Euro) e ci siamo guardati intorno. Non vi nego, perchè non potrei, che non si trattava del genere di persone che sono abituato a frequentare. Signore non proprio giovanissime acchittate per la festa col vestito di paillettes, ventri leggermente lasciati andare sotto tubini di strasse, gambe muscolose su stivali al ginocchio, alcuni non proprio ortodossi, capelli cotonati e ori sgargianti su colli di foggia diversa, ma tutti tendenzialmente già avvezzi alla ruga, all'imperfezione. Madri di famiglia, per una sera votate al ballo di gruppo, oppure normalmente frequentatrici della "balera" (che da noi, almeno linguisticamente, non esiste).
Signori - di tutte le età - con sgargianti cravatte dal nodo megalitico, camicie a quadri tese sui bicipiti e sulle pance pingui da lavoratori agricoli. Uomini coi ventri tesi come tamburi oppure magrissimi e allampanati, vestiti in magliette che non avrebbero mai acquistato se non fossero stati a Capodanno. Padri scaraventati verso l'eccesso di spumante, trotterellanti intorno ai loro divanetti bassi per mangiare l'ennesima fetta di panettone scadente da cenone di capodanno.
Ragazzine assortite, di tutte le taglie, alcune piccole piccole, bambine accompagnate dai genitori per l'unica serata di festa concessa aell'anno, altre bellissime, e consapevoli di esserlo, floride, nascoste dalle famiglie in case di campagna isolate dal mondo, e mostrate, per una sera, in tutto il loro fulgore di femmine fatte e finite, di proprietarie gelose del proprio patrimonio.
Ragazzoni di questa provincia "meno prospera" ma non ancora "povera". Maglie sgargianti, scarpe da tennis tecnicissime sotto pantaloni pseudo-eleganti, inserti di raso in giacche nere, lucenti file di paillettes a scrivere il nome dell'ultima marca fondata dall'ultimo campione di calcio fallito, scarpini di tacco con fibie lucenti, di quelle che fanno male ai piedi quando non ci sei abituato. Jeans di tutti i giorni abbinati a camicie sgargianti, senza fiori per fortuna, ma con colletti esagerati, di due o tre bottoni, come si usavano qualche anno fa, perché qui, non ne faccio mistero, l'introduzione delle innovazioni segue strade tortuose. E tutto questo adagiato su fisici veri, senza affettazione né deformazione: fisici magri di ragazzi per costituzione un po' tisici; grossi ventri da mangiatori per fame, quella che ti viene dopo un giorno di lavoro, quello vero; visi bianchi che non hanno mai visto una lampada, o un po' rubizzi per il vino e lo spumante di Capodanno; bicipiti veri, fatti a furia di caricare e scaricare roba, o di portare il trattore o il camion, se va bene. Dita callose che non ammettono manicure, che non la sopporterebbero, unghia tagliate cortissime, come di chi si è accorto di aver le mani un po' rovinate e l'unica cosa che può fare è eliminare completamente la parte da aggiustare.
Insomma, un'umanità che, a guardarla da vicino, potresti definire "cafona". Cafona perchè viene dalla terra e dal lavoro, cafona perchè ha sempre vissuto nel suo quadrato di strade, nella casa paterna, lontano da qualunque affettazione nevrotica, da qualunque necessità precostituita. L'umanità che l'estate, quando non lavora, si porta l'ombrellone da casa e pascola sulla spiaggia di Montesilvano molto, molto rumorosamente. Quella che sale in montagna con la fornacella degli arrosticini e passa la giornata a mangiare. L'umanità che vive di bisogni reali, di aspirazioni piccole, concrete e dolorose. L'umanità che facciamo finta che non esista.

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