venerdì 17 aprile 2009

Raccontano

Raccontano che una grande onda di piena si abbattè su due citta dirimpettaie al di là e al di qua di uno stretto solcato da antichi navigli, piccole botticelle di pescatori e traghetti di pendolari stanchi. Raccontano che non rimase nulla di una delle due e che nell'altra si diffuse il terrore e la morte per le strade inondate di acqua e di fango.

Raccontano che dal fianco della collina scese un giorno una lunga lingua di fango che sommerse le macchine, le case e le persone. Dicono che la collina, coperta di cenere nera, cedette al peso dell'acqua e che non ci fu nessuna radice, nessun tronco, ma solo erbacce a frenare la frana.

La stessa memoria hanno gli abitanti di un'altra regione, più a nord, al confine col paese delle banche. Lì il fiume si ingrossò a tal punto da travolgere i villaggi e da portare la morte in tutte le case, in tutte le famiglie. Raccontano che un Ministro degli Interni abruzzese, che tutti chiamavano Zio, ricostruì tutto in poco tempo. Lo stesso ministro, qualche anno dopo, venne accusato di usare impunemente gli elicotteri dei pompieri.

E anche qualche miglio a sud ovest raccontano di un fiume che un giorno uscì fuori dai suoi margini, e mangiò le terre del vino e delle macchine.

Raccontano che in una valle ricavata da un vecchio lago prosciugato, una conca magnifica incorniciata dalle colline, un giorno la terrà tremò, sussultò, si arrabbiò a tal punto da cancellare tutto, ma proprio tutto. Per giorni non si ebbe notizia di nulla, per giorni le persone morirono, a migliaia, sotto il peso delle pietre con le quali erano costruite le case. Il dolore e il pianto si diffuse per tutta la nazione quando un giornale illustrato disegnò la tragedia sulle sue copertine, quando i poeti, e i filosofi, fecero sentire fortissimo il grido mesto di quelle popolazioni abituate al lutto e al fato. Interi villaggi si spostarono a valle e occuparono i campi germogliati sulla sabbia del lago antico, vetuste memorie vennero abrase dalla lontananza e un esercito di piccole casupole senza storia sorsero dove prima non c'era nient'altro che il lavoro.

Così pure qualche chilometro più a sud, in mezzo a montagne gloriose che nessuno era riuscito mai a domare, un giorno la terrà si aprì e tremò. In quell'inverno gelido migliaia di persone piansero i loro morti sotto le tende dei primi soccorsi: ritardatari, colpevoli e lenti. Dicono che a distanza di tempo si vedano ancora i buchi dei picchetti delle tende, e che ancora le persone tendano l'orecchio al vento, dal chiuso delle loro capanne di legno marcio o di ferro arrugginito. Raccontano che il tremore si sentì fin nella grande città affacciata sulla baia, sotto il vulcano. Ancora oggi è possibile vedere le travi che allontanano i palazzi l'uno dall'altro e che gli impediscono di abboccarsi a vicenda, ancora oggi quelle travi sono il rifugio di briganti terribili, facce da galera cresciute all'ombra dei soldi della ricostruzione che non conosce memoria.

Raccontano che lontanissimo da lì, a centinaia di chilometri di distanza, tra vallate verdi e montagne bucate, lo stesso sisma finì all'improvviso e le persone tornarono di corsa a costruire, ad abitare e ad amarsi. Nessuno si ricorda cosa sia successo, perchè a passeggiare per quelle strade torte non è possibile che la memoria trovi appiglio.

Qualche tempo fa pare che la stessa cosa sia successa ancora e che non si sappia proprio quando tutto questo finirà. Pare che i pensieri non abbiamo ancora avuto tempo di posarsi, così come la polvere e le lacrime delle persone. Dicono tutti che tocca solo aspettare, che prima o poi succede e quel che rimane da fare è procurarsi una pala per scavare le fosse dei morti. Si sa che son crollati gli edifici che non dovevano cadere, sommergendo le vite di uomini e donne giovani, vita e speranza delle proprie terre, futuro limpido della propria gente. Si sa che il luogo dove curavano i malati si è accasciato su se stesso, uccidendo due volte il dolore dei feriti. Narrano i vecchi, che son rimasti tutti vivi per l'incantesimo che vuole i memori più longevi degli immemori, che non avevano ricordo di tutte quelle ombre incappucciate, allineate in lunghe processioni di passione, ombre che son passate sulle case in trenta secondi, o poco più, portandosi via tutti i nipoti e le nipoti.

Raccontano tutti, ma proprio tutti, di lunghe file di bare, alcune bianche altre nere, stese su prati verdi, sotto il sole o la pioggia. Raccontano di quanto tempo passò prima che la memoria smettesse di fare male. Raccontano tutti, ma proprio tutti, di macchine scure che si fermarono con il motore acceso sulla porta delle chiese, vomitando uomini scuri anch'essi che si affrettarono a rimettere in moto la fabbrica delle chiacchiere, del "non si poteva fare diversamente", del "Dio protegga questa terra". Raccontano tutti, ma proprio tutti, che sapevano prima del tempo che il fato si sarebbe prima o poi abbattutto, ma che nessuno, proprio nessuno, abbia fatto nulla perchè il fato si fermasse.

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