Quella sera io e papà eravamo appena rientrati da una lunga giornata di lavoro. Io avevo 12 anni, e, potete non crederci, davo una mano a mio padre facendo piccole cose al frantoio. Se non facevo nulla mi divertivo ad intrattenere gli operari, chiacchieravo, gli portavo il caffè, passavo il tempo sdraiato sui sacchi caldi delle olive.
Quella sera la televisione trasmise le immagini che mi avrebbero cambiato la vita. E non perché ne trassi un qualche insegnamento schierato, una percezione di quale delle due parti del muro avessi dovuto abbracciare per partito. Ma perchè, in maniera più istintiva, capii velocemente che avrei voluto, anche per il nostro mondo, una rivoluzione portata sui volti distesi e sereni, felici e trepidandi, tripudianti ed entusiasti, di quei ragazzi di Berlino che per la prima volta si incontravano tra loro.
Una rivoluzione di fiori. Bellissima. Senza sangue e senza morti. Ho rivisto e rivivo quelle immagini oggi e sono le stesse che sono stampate a fuoco nella mia memoria. E la mia memoria non consente la sopportazione di altri muri e altri confini, la mia anima continua a cercare quella rivoluzione, di gente fresca e bella che si ama e che si bacia e che si riprende il proprio futuro. Ad un ragazzo di 12 anni quella giornata non poteva insegnare di più. Eppure sono convinto che quel giorno mi riconsegnò la verginità, perché impaludati nella politica italiana noi non avevamo nemmeno sentore della più lontana possibilità di un evento simile. Invischiati in un mondo che non conosce scossoni e che, gattopardescamente, è sempre uguale a se stesso, quei ragazzi ci insegnarono che era ed è ancora possibile liberarsi dei muri più beceri, delle divisioni più odiose.
Oggi del muro, scomparsi il comunismo e con il liberalismo in crisi, non ci rimane che questo insegnamento supremo.
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