Laura è una ragazza siciliana di 35 anni. È a Roma da tempo, ha studiato per diventare archivista: come tutte le persone che pasteggiano la materia ha una cultura vastissima, fatta di epigrafi, codici antichi e metodo, tanto metodo. Laura è una donna solare, dotata della classica ironia dei siciliani, un misto di distacco e intelligenza pungente, capace di scavare nei pensieri degli altri. È una persona piacevole, mai banale, sincera.
Laura ha il padre malato, in Sicilia. Il vecchio ha un brutto tumore al pancreas, di quelli che tutti i medici ti dicono che non si cura mai e che porta dritto alla tomba. Laura ha combattuto contro il fatalismo della famiglia, si è rimboccata le maniche, ha sfidato le lacrime della sorella e della madre e ha cercato un ospedale che accogliesse il padre. Pare che l’unico centro in Italia che curi, o tenti di curare, questo tipo di tumore sia a Verona. Ma da lì non risponde nessuno, nessuno prende appuntamenti, nessuno è in grado di dare risposte, soprattutto se a pagare è la sanità siciliana che di soldi ne ha pochi, impegnata com’è a finanziare le cliniche private. Allora Laura si è rivolta all’ospedale di Catania ben sapendo che ciò vuol dire, molto banalmente, parcheggiare il padre e aspettare che muoia di tumore, imbottito di medicine e incapace di ragionare.
Intanto Laura ha passato un brutto periodo in Sicilia, ha perso l’unico lavoretto che aveva, ha mollato per prendere per i capelli una famiglia incapace di reagire alla tragedia. Ha affrontato le nevrosi delle donne di casa, restando per quanto possibile impassibile; ha affrontato l’incapacità di reagire del padre, comprendendolo, e allora ha pianto con lui, ben sapendo che il suo crollo vuol dire un’accelerazione della malattia.
Solo allora Laura è tornata a Roma e si è rimessa a cercare un lavoro. Ha trovato lavoro con un rattuso che se ne va in giro con un furgoncino sgangherato, tutti i giorni della settimana, domenica compresa, a distribuire i salvadanai che si piazzano sui banconi dei bar per raccogliere offerte per i bambini malati. Due lire la pagavano e la sfruttavano, e se n’è andata. Poi ha iniziato a lavorare per un call center, in centro, vicino alla stazione, dove la pagavano due lire per stare una giornata a fare ricerche di mercato. Un giorno ha osato guardare il cellulare sul quale le era arrivato un messaggio ed è stata cacciata come si cacciano i cani, accusata di essere nullafacente, licenziata in tronco e di nuovo in strada a cercare un lavoro. Fortuna (o sfortuna) che si trattava solo di minacce. Laura lavora ancora lì, a cottimo. Quando ci sono ricerche di mercato da fare la chiamano, quando non ce n’è la lasciano a casa…
E così lei ha cercato un altro lavoro. Ha trovato una società che fa trascrizioni delle deposizioni dei tribunali. 400 euro al mese per passare le giornate e le nottate a trascrivere tracce audio in dialetto di imputati davanti alle corti dei tribunali penali. Un lavoro senza sosta, senza speranza, anche questo a cottimo, fatto di notte e di giorno nell’attesa che il call center faccia un’ennesima chiamata, un’ennesima ricerca di mercato. Un lavoro pagato male e pagato in ritardo, a tre mesi, che non consente di vivere e di pagarsi nemmeno l’affitto.
Laura ha perso anche il sorriso, adesso è disperata. Di due lavori che fa non arriva alla fine del mese. E non sono frasi fatte, di quelle che si sentono in bocca ai mille idioti di questa nazione. Laura non ha i soldi per fare la spesa. Ha 35 anni e rischia di ridursi allo stato di una barbona, senza dignità né speranza. Laura è una giovane donna che dovrà rinunciare agli sfizi della femminilità, quelli che danno un po’ di senso alla propria vita, dovrà rinunciare ad uscire a cena, a vivere una vita “piena e dignitosa”. E anche con queste rinunce Laura non ce la farà, anche quando tra tre mesi arriveranno i pochi spiccioli che la società di trascrizioni bonificherà.
Laura ha chiesto soldi in prestito. Li ha chiesti agli amici ed è il primo passo. Laura ha perso il sorriso, adesso è disperata.
giovedì 25 giugno 2009
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